PICASSO e la rivoluzione cubista

C’è un film d’animazione del 1987, Colazione sull’erba di Pritt Parn, poco conosciuto in Occidente, ma uno degli artisti più noti nel blocco ex sovietico, in particolare in Estonia, suo paese natale, film nel quale Pablo Picasso viene trascinato via dalle forze dell’ordine e perseguitato dai corvi, emblema del destino dell’artista, rivoluzionario sotto ogni forma di potere.

E Picasso rivoluzionario lo fu certamente allorché, dipingendo nel 1907 il quadro Demoiselles d’Avignon ha aperto la strada alla più grande rivoluzione dell’arte del ‘900 con la nascita del Cubismo.

Il movimento Cubista vede Picasso assieme a Braque abbandonare la meccanica riproduzione del reale propria della pittura accademica, come pure le rappresentazioni del reale, seppure filtrato dai punti di colore, degli impressionisti, per interpretare in modo completamente nuovo e rivoluzionario il mondo esterno.

Essi infatti non si limitano a osservare e riprodurre la realtà che si mostra davanti agli occhi, ma la studiano per scomporla e poi ricomporla in un nuovo ordine che ignora la distinzione tra gli oggetti e lo spazio in cui essi si collocano.

Il cubismo si potrebbe sintetizzare benissimo con questo aforisma: ”la realtà è altro da me”. Per il movimento cubista la funzione dell’opera d’arte non è la rappresentazione della realtà, ma la sua interpretazione.

Nelle opere cubiste di Picasso e di Braque le forme si disintegrano nel ribaltamento dei piani, osservati contemporaneamente da più punti di vista, scomposti e ricomposti senza più l’uso della prospettiva, che dal Rinascimento aveva guidato la mano di tutti gli artisti.

Per capire la rivoluzione nell’arte rappresentata da Picasso e il movimento cubista, è opportuno andare al pensiero che ha guidato Picasso e Braque nella loro ricerca: secondo i principi del cubismo, quando vediamo un oggetto davanti a noi nelle tre dimensioni dell’ottica naturale  in realtà lo percepiamo diverso perché nella rappresentazione dell’oggetto aggiungiamo immagini non presenti alla vista ma memorizzate in precedenti esperienze; il risultato è che l’oggetto non è semplicemente quello che vediamo ora ma quello che il nostro pensiero ha rielaborato e che ci permette di capirlo e di riconoscerlo.

In pratica entra nell’opera una nuova dimensione, la dimensione temporale. I pittori cubisti immaginano di ruotare attorno all’oggetto che intendono rappresentare, non fissano un solo aspetto ma ne raccolgono diversi in successione, muovendosi nel tempo per poi rappresentare il tutto in una rappresentazione unica, come fosse il fermo immagine di più visioni proiettate contemporaneamente. La rappresentazione totale dell’oggetto e la sua riproduzione sulla tela non ci dà solo i vari aspetti del suo volume nello spazio, ma, poiché è frutto della nostra conoscenza attraverso la memoria, ci fornisce anche, e soprattutto, la permanenza dell’oggetto in sintesi nella nostra coscienza.

Qualcosa di più grande è successo all’inizio del secolo XX, solo due anni prima di Demoiselles d’Avigno, un altro genio, il giovane fisico tedesco Albert Einstein, coetaneo di Picasso, inviava alla rivista “Annalen der Physik”, l’articolo “Elettrodinamica dei corpi in movimento”, in cui assume che la velocità della luce sia costante in qualsiasi sistema di riferimento affermando il principio di relatività che unificava parzialmente la meccanica e l’elettrodinamica, rompendo la concezione tradizionale del tempo e dello spazio. I cubisti hanno certamente respirato il pensiero di Einstein.

La collaborazione tra Picasso e Braque dura dal 1907 al 1914, tuttavia è difficile indicare con una data la fine del movimento cubista, sia perché la sua influenza si estende fino ai nostri giorni, sia perché il cubismo non era e non voleva essere una scuola. Infatti, se all’inizio il cubismo si identifica essenzialmente con Picasso e Braque, già nel 1909 sono numerosi gli altri artisti che, partiti da varie esperienze – soprattutto postimpressioniste – si riconoscono nel movimento cubista; artisti che poi svilupperanno ulteriori ricerche dando vita ad altri movimenti artistici diversi, ma tutti in qualche modo ispirati al principio cubista che l’arte è chiamata ad interpretare e non riprodurre la realtà.